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Acclimatazione Al Caldo E Prestazione Sportiva (PARTE 2 DI 3)

Notizia Testuale Free Sport

Nella prima parte si era scritto che quando un atleta deve affrontare una competizione in un ambiente caldo/umido (come potrebbe accadere alle recenti Olimpiadi di Tokyo) la migliore contromisura (unica) da adottare fosse quella di un periodo di adattamento al caldo per proteggere la sua salute e soprattutto migliorare le sue prestazioni. Il principio alla base di qualsiasi protocollo di acclimatazione al calore consiste di un aumento della temperatura corporea (del nucleo, core, e della pelle) per indurre un'abbondante sudorazione e aumentare il flusso sanguigno nella pelle. In uno studio non più recente, ma ancora citato di Lind et al. (Fed Proc. May-Jun 1963; 22:704-8), è stato originariamente dimostrato che l'allenamento ripetuto in condizione ambientali per 100 min fosse efficace nell'indurre tali risposte. Nello studio di Nielsen et al. (J Physiol. 1993 Jan; 460: 467-85) l'esercizio quotidiano fino ad esaurimento al 60% VO2max in condizioni ambientali calde (40°C, 10% RH, relative humidity) su cicloergometro per 9-12 giorni consecutivi aumentava la capacità di esercizio da 48 minuti all'inizio della fase di adattamento fino a 80 min. In definitiva, l'entità dell'adattamento dipende dall'intensità, durata, frequenza e numero di esposizioni al calore. L'acclimatazione al calore è transitoria e scompare gradualmente se non viene mantenuta da una continua e ripetuta sua esposizione. Il miglioramento della frequenza cardiaca (diminuzione a parità d'intensità), che si ottiene rapidamente durante l'acclimatazione, si perde anche più rapidamente delle risposte termoregolatrici. Sebbene i principi di cui sopra siano relativamente ben compresi, una domanda comune da parte degli allenatori e medici è come integrare l'acclimatazione al calore all'interno del programma di allenamento e di tappering negli atleti d'élite. Si è detto che la performance risulta migliorata dopo una o due settimane di acclimatazione. Tuttavia, potrebbe essere poco pratico per gli atleti dedicare due settimane all'allenamento quotidiano al caldo, immediatamente prima di un evento importante, in quanto la metodologia utilizzata potrebbe interferire con il carico di lavoro programmato. Bisogna però considerare due punti: 1) il tempo di esposizione al caldo giornaliero richiesto (che può essere anche passivo, ad esempio immersione in acqua calda) è relativamente breve (consentendo agli atleti la possibilità poi di allenarsi e riposarsi in ambienti freschi); 2) il decadimento dell'acclimatazione appare più lento della sua induzione, che si presta ad essere eseguita in anticipo rispetto alla competizione e integrata da richiami prima della competizione stessa. Infatti, nello studio di Weller et al. (Eur J Appl Physiol 102, 57-66, 2007) si è dimostrato che dopo un periodo iniziale di dieci giorni di acclimatazione, erano sufficienti 2 e 4 giorni di ri-acclimatazione dopo 12 e 26 giorni rispettivamente senza esposizione al calore (cioè decadimento) per riguadagnare uno stato di acclimatazione simile a quella iniziale. Pertanto, un atleta che si prepari per una competizione in condizioni ambientali calde/umide potrebbe pianificare un periodo di acclimatazione al caldo iniziale di alcune settimane (dipende dall'atleta) prima dell'evento e successivamente mantenere o ridurre al minimo il decadimento negli adattamenti con esercizio fisico regolare o esposizione al calore anche passivo fino alla competizione (ad es. una volta ogni tre giorni). Ciò consentirebbe una rapida ri-acclimatazione all'arrivo in sede di gara con due o tre sessioni di allenamento con esposizione al calore.

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