Lo stretching nella riduzione del dolore muscoloscheletrico

Lo stretching nella riduzione del dolore muscoloscheletrico

Il dolore muscoloscheletrico colpisce una parte significativa della popolazione mondiale.

Secondo il Global Burden of Disease Study, i disturbi muscoloscheletrici hanno registrato un aumento del 30% dal 1990 al 2019.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità fornisce ulteriori approfondimenti sulle condizioni muscoloscheletriche, rilevando che circa 1,71 miliardi di persone ne sono affette in tutto il mondo.

Tra questi disturbi, il mal di schiena si distingue con una prevalenza di 568 milioni di persone, il che lo rende il principale fattore di disabilità a livello globale, rappresentando la principale causa di disabilità in 160 paesi.

Ridurre il dolore muscoloscheletrico deve essere considerata una priorità clinica e sociale, vista la sua diffusione e impatto , ma anche economica, per i costi sanitari diretti (trattamenti, farmaci, visite) e indiretti (assenze dal lavoro, perdita di produttività, pensionamenti anticipati).

Tra le strategie per contrastarlo, metodi come lo stretching, il foam rolling, lo yoga e la rieducazione motoria risultano essere un approccio efficace.

È stato dimostrato che lo stretching, attraverso varie tecniche, aumenta in modo significativo l’ampiezza di movimento (ROM) di un’articolazione dopo una singola sessione, così come in modo cronico dopo diverse settimane di allenamento. In particolare, un singolo esercizio di stretching statico non solo influisce sul ROM dell’articolazione interessata, ma ha effetti non-locali, interessando anche le articolazioni non direttamente coinvolte che mostrano miglioramenti, grazie ad un aumento della tolleranza globale allo stretching (cioè, una ridotta percezione del dolore o una soglia del dolore più alta).

È importante notare che la maggior parte degli studi sullo stretching ha coinvolto principalmente soggetti sani, cioè senza sindromi dolorose croniche.

Questo implica che i risultati ottenuti non possono essere automaticamente generalizzati a persone che soffrono di dolore muscoloscheletrico cronico.

Nello studio di Konrad et al. (Eur J Appl Physiol. 2025 Aug;125(8):2037-2048. doi: 10.1007/s00421-025-05747-9) gli autori hanno svolto una revisione sistematica per indagare se l’allenamento di stretching cronico possa ridurre il dolore in pazienti affetti da dolore muscoloscheletrico.

Gli studi sono stati inclusi se soddisfacevano le seguenti condizioni: trial controllati o trial controllati randomizzati (RCT); durata dell’intervento di almeno 2 settimane (quindi esclusi gli studi sugli effetti acuti); il tipo di intervento riguardava qualsiasi forma di stretching cronico (statico o dinamico); popolazione: partecipanti con dolore muscoloscheletrico, con o senza patologie croniche; riportata la misurazione del dolore per mezzo di scale (scala analogica visiva, VAS), indici (indice di disabilità di Oswestry) e questionari.

Sono stati esaminati 797 studi, da cui ne sono stati selezionati sei. Gli studi inclusi hanno portato ad un totale di 658 partecipanti, per una durata degli interventi che andava da 4 settimane a 6 mesi. Tipo di stretching: statico e dinamico.

La qualità metodologica, valutata con la scala PEDro, ha evidenziato un intervallo di punteggi compreso tra 7 e 10 punti (su 10) per tutti gli studi inclusi: gli studi sono stati condotti in modo rigoroso, riducendo al minimo gli errori sistematici e aumentando l’affidabilità dei risultati.

Dei sei studi, quattro hanno valutato l’effetto dello stretching su persone che presentavano già dolore muscoloscheletrico: questi studi miravano a ridurre direttamente il dolore già presente nei partecipanti. I due restanti hanno osservato come lo stretching influenzasse la comparsa o la frequenza del dolore durante il periodo di intervento: l’obiettivo era più preventivo, cioè, verificare se lo stretching potesse ridurre la probabilità o l’intensità del dolore nel tempo.

I risultati hanno evidenziato che 5 su 6 studi hanno mostrato una riduzione significativa del dolore o della sua prevalenza dopo programmi di stretching statico o dinamico, con una durata compresa tra 4 settimane a 6 mesi.

Gli autori hanno proposto diversi meccanismi attraverso cui lo stretching potrebbe ridurre il dolore:

  • aumento del ROM che porterebbe ad un miglioramento dell’orientamento articolare, riguardante il posizionamento e l’allineamento delle articolazioni (es. anca, bacino, colonna vertebrale) durante il movimento o in postura statica. Un orientamento corretto ridurrebbe di conseguenza le compressioni nervose (es. sul nervo sciatico), prevenendo sovraccarichi compensatori, migliorando la funzione biomeccanica generale
  • riduzione della rigidità muscolare e fasciale, comportando una minor stimolazione dei nocicettori
  • attivazione del sistema nervoso parasimpatico, con effetto rilassante e analgesico
  • aumento della forza muscolare con stretching ad alto volume, che porterebbe ad una maggiore stabilità articolare
  • tolleranza al dolore migliorata localmente e anche in muscoli omologhi controlaterali (effetto crociato)

In conclusione, lo stretching cronico emerge come una strategia promettente per ridurre il dolore muscoloscheletrico, grazie ad una combinazione di effetti biomeccanici, neurologici e psicofisiologici.