L’allenamento di endurance può aumentare il VO2max tramite adattamenti nelle componenti della catena di trasporto e utilizzo dell’ossigeno centrali (gittata cardiaca, Q, gittata sistolica, SV, e grandezze ematologiche) e periferiche (capacità ossidativa muscolare, OxCap, corrispondente alla capacità del muscolo di utilizzare l’ossigeno per la risintesi dell’ATP direttamente collegata alla respirazione mitocondriale, e differenza di ossigeno arterioso-venoso, a-vO2diff).
La prova di questi adattamenti proviene sia da studi trasversali, che confrontano atleti allenati con individui non allenati che misurano le differenze in vari parametri fisiologici, che da studi interventistici, in cui individui non condizionati sono stati direttamente allenati per valutare le modifiche indotte.
L’intensità è un parametro fondamentale dell’allenamento fisico e può essere manipolato modificando la velocità del movimento o la potenza (PO).
Essa determina l’entità del disturbo metabolico, che è direttamente correlato alle vie di segnalazione responsabili degli adattamenti in risposta all’allenamento fisico.
Si è dimostrato che questo parametro è un fattore determinante nell’entità degli aumenti del VO2max, con i maggiori miglioramenti nei domini corrispondenti al limite superiore di un allenamento ad alta intensità (fascia più alta del dominio pesante, dove l’esercizio si avvicina al limite della stabilità metabolica) e severo (dove il corpo non riesce a mantenere l’equilibrio fisiologico per troppo tempo, e si arriva alla fatica in pochi minuti).
Molti studi hanno semplificato eccessivamente il protocollo dell’allenamento, scegliendo solo un livello di intensità oppure comparando soltanto un livello moderato vs. HIIT/SIT, senza considerare gradazioni intermedie.
Questo limita la comprensione dei meccanismi fisiologici che si attivano in risposta ad intensità diverse.
Inoltre, la maggior parte degli studi manca di precisione nella caratterizzazione dello stimolo metabolico (ovvero, il carico interno), poiché la prescrizione dell’esercizio si basa su modelli che non individualizzano accuratamente l’intensità dell’allenamento.
La prescrizione dell’intensità è, infatti, comunemente basata su di una percentuale di valori massimali di variabili come il VO2 e la frequenza cardiaca, loro equivalenti di riserva (frequenza cardiaca e VO2 di riserva, definiti come il loro valore massimo meno quello a riposo) o la potenza di picco (derivata da test incrementali). Un presupposto fondamentale è che la prescrizione dell’intensità relativa, come frazione di un valore massimale, provocherà un disturbo metabolico comune all’interno del muscolo in soggetti diversi.
I metodi basati su percentuali, però, non garantiscono uno stimolo metabolico uniforme. Ogni persona ha una risposta fisiologica unica all’esercizio: ciò significa che, anche se due individui si allenano allo stessa intensità relativa, i meccanismi di adattamento attivati potrebbero essere molto diversi.
La variabilità interindividuale nel disturbo metabolico (e quindi nelle risposte metaboliche e fisiologiche) si verifica perché il sistema di classificazione non tiene conto delle soglie e dei domini di intensità che esse delineano. Nello specifico, si tratta dei domini di intensità moderata, ovvero, al di sotto della soglia del lattato, LT; intensa, tra la LT e lo stato metabolico stazionario massimo, MSSS; severa ed estrema, al di sopra dell’MMSS.
L’esercizio all’interno di ciascun dominio provoca risposte nel VO2 uniche, indicative di cambiamenti distinti nel modo in cui il metabolismo muscolare risponde e soddisfa le richieste energetiche.
Sebbene le risposte metaboliche all’interno di ciascun dominio siano costanti tra gli individui, la posizione specifica delle soglie che ne delimitano i confini varia ampiamente da persona a persona. Ad esempio, alla stessa percentuale di valori massimali, individui diversi potrebbero allenarsi in due o anche tre diversi domini di intensità, poiché le posizioni relative della LT e MMSS variano rispettivamente da circa il 45% al 75% e da circa il 65% al 95% del VO2max.
Questa variabilità, unita, ad incoerenze nella prescrizione dell’intensità e durata, contribuisce alla scarsa chiarezza sui reali benefici dell’allenamento continuo o intervallato nei precedenti studi.
Nello studio di Inglis et al. (Med Sci Sports Exerc. 2025 Aug 1;57(8):1669-1680. doi: 10.1249/MSS.0000000000003697), gli autori hanno voluto caratterizzare gli adattamenti centrali e periferici all’allenamento di endurance specifico per domini d’intensità.
Sono stati selezionati ottantaquattro soggetti (età 26,6 ± 5,7 anni, altezza 169 ± 9 cm e massa corporea 69,9 ± 12,5 kg, 50% maschi), il cui livello di attività fisica variava da sedentario (vale a dire, non regolarmente attivo fisicamente e/o non rispettava le linee guida sull’attività fisica) ad attivo a livello amatoriale (vale a dire, impegnato in <3 d·settimana−1 di attività fisica non strutturata).
Sono stati creati cinque gruppi di intervento (n = 70), ciascuno assegnato ad un dominio specifico di intensità: MOD (potenza costante, esercizio continuo nel dominio d’intensità moderata), HVY1 (potenza costante, nel limite inferiore del dominio di alta intensità), HVY2 (potenza costante, nel limite superiore del dominio di alta intensità), HIIT (dominio severo) e SIT (sprint intervallato, dominio estremo). Un gruppo di controllo (CON) (n = 14) non ha svolto alcun allenamento.
L’intensità degli allenamenti era valutata in base a parametri fisiologici, in particolare considerando la soglia stimata del lattato (θLT) (ovvero, stima della soglia del lattato attraverso la risposta ventilatoria e dello scambio gassoso).
Per l’allenamento MOD i soggetti si sono allenati su cicloergometro per 50 min al 90% della PO al θLT ; il gruppo HVY1 per 41 min al 110% della PO al θLT ; il gruppo HVY2 per 30 min al 100% della PO corrispondente al MMSS (maximal metabolic steady-state); il gruppo HIIT ha eseguito da 5 a 6 prove di 4 min al ≥120% del MMSS con un recupero di 3 min al 30% del MMSS (entrambe le fasi sono stati considerate per il calcolo del lavoro svolto); infine, il gruppo SIT ha eseguito un Wingate test (30 s all out contro una resistenza fissa, da 0,06 a 0,075 kg·kg−1 della massa corporea, con 4,5 min di pedalata senza carico o recupero passivo tra le prove massimali). Per il SIT, si è iniziato con tre prove per sessione e si è poi progressivamente aumentato a sei entro la quarta settimana di allenamento, aggiungendo almeno una prova massimale aggiuntiva a settimana.
Gli obiettivi di lavoro totale svolto in HVY 1, HVY 2 e HIIT sono stati equiparati individualmente al lavoro totale del MOD di ciascun partecipante (ovvero 50 min dal 90% della PO a θLT).
Lo scambio gassoso, le variabili ventilatorie e la frequenza cardiaca sono stati misurate in continuo utilizzando un carrello metabolico e una camera di miscelazione. La concentrazione di lattato nel sangue ([La−]) è stata misurata mediante campioni di sangue capillare ottenuti da una puntura sul dito.
L’intervento ha avuto una durata complessiva di sei settimane, divise in due fasi da tre settimane ciascuna (la settimana centrale, MID, è stata utilizzata per svolgere ulteriori test). Tre sessioni di allenamento a settimana, per un totale di 18 sessioni.
Sono state condotte misure prima (PRE) a metà (MID) e dopo (POST) l’intervento, riguardanti il VO₂max; la Q̇max, gittata cardiaca massima; la a-vO₂diff, differenza artero-venosa di ossigeno; BV e PV: volume totale e plasmatico del sangue; OxCap, capacità ossidativa muscolare (nel muscolo vasto laterale, misurata tramite NIRS), valutato il ΔτOxCap, che rappresenta la rapidità con cui i muscoli riescono a utilizzare l’ossigeno per produrre energia aerobica (indice della funzionalità mitocondriale muscolare).
I risultati hanno evidenziato che allenamenti intensi producono gli aumenti maggiori: HIIT e HVY2 hanno mostrato i miglioramenti più marcati nel VO₂max (fino a +0.43 L·min⁻¹).
Il cambiamento è soprattutto centrale: l’aumento del VO₂max è associato principalmente a adattamenti centrali, come un aumento della Qmax (HVY2 e HIIT hanno prodotto i maggiori aumenti, rispettivamente di +3.0 L·min⁻¹ e +2.9 L·min⁻¹), del volume plasmatico e sanguigno (HVY2: +438 mL BV e +198 mL PV; HIIT: +302 mL BV e +158 mL PV).
Gli adattamenti periferici non sono stati significativi. Nonostante l’importanza fisiologica, la ΔτOxCap e la a-vO₂diff non hanno mostrato variazioni significative in nessuno dei gruppi.
In conclusione, i risultati indicano che, rispetto agli altri gruppi di intervento, l’HIIT è stato il più efficace nel produrre variazioni del V̇O2max, seguito da vicino dall’HVY2, in particolare per variazioni negli adattamenti centrali di Qmax, SVmax, BV e PV.
Inoltre, i dati suggeriscono che, nonostante le variazioni non significative, il contributo delle componenti periferiche non deve essere ignorato.
È importante sottolineare che queste variazioni sono state possibili anche dopo un intervento di breve durata (sei settimane). Inoltre, questo studio ha dimostrato che l’allenamento a bassa intensità come l’HVY1 ha prodotto piccole variazioni del VO2max, mentre il MOD non ha mostrato variazioni significative.