L’accelerazione durante un’azione di sprint, cruciale in molti sport, ha portato i ricercatori ad analizzare quali metodi di allenamento risultassero più efficaci.
Tra questi, lo sprint resistito risulta essere una dei più studiati e implementati. Questa tecnica, che utilizza dispositivi come le slitte con resistenza, ha dimostrato di essere efficace nella pratica e nella ricerca.
Nonostante la sua popolarità, molto rimane sconosciuto sull’approccio ottimale all’implementazione dello sprint contro resistenza, inclusi i parametri di carico e la distanza ideale o le frequenze delle ripetizioni in allenamento.
Esistono sempre più prove che lo sprint contro resistenza migliori vari aspetti dell’accelerazione.
Tradizionalmente si usavano carichi leggeri (es. 10–20% della massa corporeo), per evitare alterazioni della tecnica. Tuttavia, studi recenti mostrano che carichi più elevati possono essere più efficaci per stimolare adattamenti specifici.
Il carico può essere modulato per lavorare su forza esplosiva (carichi alti, basse velocità), migliorare la velocità massima (carichi leggeri, alte velocità), ottimizzare la potenza (carichi intermedi, ∼50%vDec, un carico che porti al∼50% della velocità massima raggiunta senza resistenza).
Un carico elevato può agire come stimolo diretto e semplice per migliorare l’accelerazione, senza bisogno di protocolli complessi. Questo è particolarmente utile in contesti sportivi dove il tempo e le risorse sono limitati.
In particolare, il profilo accelerazione-velocità (a-s) fornisce informazioni dettagliate sulla capacità di sprint di un atleta, mettendo in relazione le variazioni dell’accelerazione massima con l’aumento della velocità di corsa. Questo può offrire informazioni preziose per ottimizzare le caratteristiche dell’allenamento di sprint.
Recenti studi raccomandano l’uso di volumi ridotti (sia totali, intesi come distanza × numero di ripetizioni, che per ripetizione), per evitare affaticamento o alterazioni tecniche, quando si impiegano carichi resistivi elevati nella sprint resistivo con slitta (ad esempio, 50% vDec = <10 m × ripetizione). Questo approccio non considera il tempo trascorso in condizioni specifiche di velocità, che è cruciale per stimolare adattamenti mirati.
Se l’obiettivo è migliorare la forza orizzontale o la potenza massima, bisogna trascorrere più tempo nella fascia di velocità corrispondente (es. intorno al 50% della velocità massima). Sprint più lunghi (es. 20–30 m) permettono di raggiungere e mantenere quella velocità target più a lungo. Ad esempio, un atleta che fa 5 sprint da 20 m trascorre più tempo a 50%vDec rispetto ad uno che fa 10 sprint da 10 m, anche se il volume totale è lo stesso.
Nello studio di Botter et al. (J Strength Cond Res. 2025 May 16;39(8):823-828. doi: 10.1519/JSC.0000000000005140), gli autori hanno esaminato l’impatto di un allenamento con traino di una slitta ad alto carico durante uno sprint, variando la distanza e le ripetizioni, mantenendo un volume complessivo costante, sulle capacità di accelerazione e prestazioni.
Sono stati selezionati venti atleti di rugby (livello nazionale Under 19) (età: 17,9 ± 0,9 anni; statura: 181,3 ± 5,4 cm; massa corporea: 85,6 ± 12,3 kg) durante la seconda metà della stagione agonistica.
Dopo un fase di riscaldamento, sono stati eseguiti due sprint massimali da 40 m senza resistenza, con 5 min di recupero tra ogni prova. Gli sprint sono stati eseguiti su erba sintetica, con gli atleti che indossavano abbigliamento da allenamento e scarpe con tacchetti (come farebbero in una sessione sportiva reale), e attraverso una corsia delimitata da fotocellule di rilevamento posizionate a 10, 20 e 30 m dal cancelletto di partenza.
Per ogni prova, gli atleti partivano 0,5 metri dietro la fotocellula di rilevamento di partenza. La posizione di partenza consisteva di un piede avanti e uno indietro (splint stance), quindi senza blocchi.
È stato chiesto loro di accelerare al massimo per tutta la distanza di 40 m e di conseguenza di evitare decelerazioni.
Durante gli sprint, gli atleti erano dotati di unità GPS, che fornivano dati di velocità e accelerazione ad alta frequenza (18,2 Hz). Le unità erano indossate in un apposito gilet e posizionate tra la parte superiore delle scapole.
Dopo un recupero di 10 min, gli atleti hanno eseguito sprint resistivi utilizzando una slitta metallica (massa della slitta = 8,0 kg), collegata ad un cavo non elastico di 4 m, in diverse condizioni di carico. Nello specifico, gli atleti hanno eseguito sprint di 30 m con carichi pari al 25 e al 50% della massa corporea e sprint di 20 m con carichi pari al 75 e al 100% della massa corporea, in ordine casuale. Questi sprint sono stati ripetuti due volte per un totale di otto sprint.
In media, questi carichi corrispondevano rispettivamente a 21,6 ± 2,7 kg, 41,8 ± 6,4 kg, 64,1 ± 9,3 kg e 85,8 ± 12,4 kg.
Per ciascun insieme di dati degli atleti, la velocità massima raggiunta con ciascun carico è stata utilizzata per creare una relazione carico-velocità tramite regressione lineare (la relazione è risultata essere negativamente lineare: più carico, meno velocità; R2 medio = 0,99 ± 0,01).
Successivamente, utilizzando l’equazione di regressione lineare dal profilo carico-velocità per ciascun atleta, il carico corrispondente ad un decremento del 50% rispetto al valore massimo (ovvero, la velocità massima raggiunta durante lo sprint senza resistenza) è stato considerato un buon indicatore della velocità che consente all’atleta di sviluppare la massima potenza e mantenere quella velocità per una durata sufficiente. Questo carico equivaleva in media al 116 ± 7% della massa corporea (99 ± 14 kg).
I soggetti sono stati divisi in due gruppi. Entrambi hanno eseguito otto settimane di allenamento di sprint resistivo, due volte a settimana.
Entrambi i gruppi si sono allenati nelle stesse condizioni, con la stessa resistenza e volume equivalente (100 m per sessione). Tuttavia, il gruppo 1 ha eseguito 8 sprint da 12,5 m per sessione (la distanza era sufficiente solo per raggiungere brevemente la velocità target, ma non abbastanza lunga per mantenerla stabilmente), mentre il gruppo 2 ha eseguito 5 sprint da 20 m per sessione (per raggiungere e mantenere la velocità target fino alla fine dei 20 m).
Questo dettaglio è cruciale perché lo studio voleva capire se più tempo a quella velocità portasse a migliori adattamenti.
Gli atleti sono stati testati prima e dopo il periodo d’intervento su: tempi sui 10, 20 e 30 metri, accelerazione massima (aₘₐₓ), velocità massima (sₘₐₓ), accelerazione teorica massima (a₀, valore estrapolato dal profilo accelerazione-velocità dell’atleta; non è la massima accelerazione misurata direttamente, ma quella che l’atleta potrebbe teoricamente esprimere in condizioni ideali, cioè all’inizio dello sprint, quando la velocità è zero e senza limitazioni meccaniche o ambientali. È calcolata come l’intercetta dell’asse y nella regressione lineare tra accelerazione e velocità, ottenuta dai dati GPS durante sprint di 40 metri. In pratica, è una stima teorica della capacità di produrre forza orizzontale massima all’inizio dello sprint), velocità teorica massima (s₀, valore di velocità che un atleta potrebbe raggiungere in condizioni ideali, cioè senza resistenza, dopo una fase di accelerazione perfetta e in assenza di limiti biomeccanici o ambientali) e pendenza del profilo accelerazione-velocità (rappresenta quanto rapidamente cala l’accelerazione; una pendenza più ripida significa che l’atleta ha una forte accelerazione iniziale ma la perde rapidamente; per una meno ripida, l’atleta mantiene l’accelerazione più a lungo).
Questi dati sono stati analizzati con modelli lineari misti per valutare l’effetto dell’appartenenza al gruppo (distanza corta o breve), l’effetto del tempo (pre vs post) e l’interazione tra gruppo e tempo.
I risultati hanno evidenziato che l’allenamento con slitta resistita ad alto carico (∼116% della massa corporea) ha migliorato significativamente la performance sui 10 metri, la a₀ (l’allenamento con slitte ad alto carico potenzia la capacità di accelerazione iniziale, indipendentemente dalla distanza per ripetizione) e la pendenza del profilo accelerazione-velocità.
Non sono stati osservati effetti significativi per gruppo o di interazione per nessuna variabile, quindi nessuna differenza significativa tra gruppi (p > 0.05), ma miglioramenti all’interno di ciascun gruppo.
In conclusione, si è trovata una conferma della letteratura esistente, in quanto lo studio ha osservato miglioramenti significativi nell’accelerazione (soprattutto sui 10 m), coerenti con ricerche precedenti che mostrano come l’allenamento con slitta ad alto carico (∼116% del peso corporeo) migliori la fase iniziale dello sprint.
L’assenza di differenze tra i due gruppi (sprint brevi vs. sprint lunghi), probabilmente si è ottenuta perché Il carico e il volume erano identici, entrambi i protocolli stimolavano la stessa zona di velocità (∼50%vDec) e la differenza tra 12,5 m e 20 m non era sufficiente a generare adattamenti divergenti.
I risultati suggeriscono che, anche con variazioni nella distanza per ripetizione, l’effetto principale rimane concentrato sulla fase di accelerazione.
Quindi, le variazioni nella distribuzione del volume (numero di ripetizioni vs. distanza per ripetizione) non influenzano fortemente gli adattamenti di accelerazione.
Questo offre flessibilità ai preparatori atletici: si può scegliere tra più ripetizioni brevi o meno ripetizioni lunghe, purché il volume totale sia mantenuto.