Salti pliometrici: mito da sfatare sull’altezza del box

Salti pliometrici: mito da sfatare sull’altezza del box

L’allenamento pliometrico è un metodo comunemente utilizzato per migliorare la potenza della parte inferiore del corpo.

Gli esercizi pliometrici includono movimenti di balzi, saltelli e slanci. Questi movimenti si concentrano su un rapido ciclo di allungamento-accorciamento (ovvero, una rapida azione muscolare eccentrica, seguita da una breve fase isometrica e da un’immediata azione muscolare concentrica). Nello specifico, la capacità di utilizzare il ciclo di allungamento-accorciamento è fondamentale per immagazzinare energia elastica durante le azioni muscolari eccentriche e poi rilasciarla per produrre contrazioni concentriche vigorose.

Esiste un acceso dibattito tra gli allenatori sui modi migliori per prescrivere determinati esercizi pliometrici.

Il Box Jump è un esercizio pliometrico ampiamente utilizzato nei programmi di allenamento, ma con informazioni scientifiche limitate sulla sua prescrizione. Quando lo si esegue, in genere si richiede all’atleta di eseguire un salto con contro movimento (CMJ) e muovere il corpo verso l’alto e in avanti, atterrando con entrambi i piedi su di un Plyo Box (box).

Poiché questo esercizio può essere eseguito utilizzando box di diverse altezze, è importante determinare quale sia quella più appropriata per ottenere i massimi benefici in termini di prestazioni.

Da un punto di vista biomeccanico, non vi è alcuna differenza nella meccanica durante lo stacco quando si salta su box di diverse altezze. Tuttavia, quando si salta su box più alti, potrebbe essere necessario aumentare l’ampiezza di movimento dell’anca per sollevare le ginocchia abbastanza in alto da atterrare con entrambi i piedi sulla sommità del box stesso.

Gli aggiustamenti nell’ampiezza di movimento di caviglia, ginocchio e anca necessari per eseguire con successo uno spostamento orizzontale e atterrare su box più alti possono comportare un aumento del rischio di infortuni.

Inoltre, l’inclusione dello spostamento orizzontale nei salti verticali può influire sulla tecnica di salto. In particolare, può avere un impatto negativo sulle forze concentriche del salto e sulla sua cinematica eccentrica durante la fase propulsiva. Di conseguenza, un allenamento prolungato con box più alti potrebbe risultare dannoso per le prestazioni sportive, poiché non verrebbe raggiunta la completa estensione dell’anca durante i salti, riducendo potenzialmente il momento e la produzione di potenza, limitando così gli adattamenti dell’allenamento.

Considerando questi fattori, potrebbe essere vantaggioso utilizzare box di altezza da bassa a moderata che consentano la completa estensione dell’anca. Utilizzare altezze basse o moderate potrebbe essere efficace quanto utilizzare box più alti e nello stesso tempo essere più sicuro.

Nello studio di Dos Santos et al. (Int J Exerc Sci. 2024 May 1;17(1):720-729. doi: 10.70252/MTLS9089), gli autori hanno voluto analizzare l’effetto dell’altezza del plyobox sulle prestazioni di salto tra studenti universitari attivi a livello amatoriale.

Sono stati selezionati quattordici maschi (età = 20,8 ± 4,1 anni, altezza = 178,3 ± 6,3 cm, peso = 82,3 ± 13,0 kg; CMJ = 42.1 ± 12.7 cm) e diciassette femmine (età = 20,8 ± 2,1 anni, altezza = 167,1 ± 5,5 cm, peso = 64,5 ± 7,4 kg; CMJ = 25.1 ± 6.3 cm), attivi a livello amatoriale (ovvero, svolgevano ≥ 2,5 ore di attività fisica a settimana).

Lo studio è stato completato in due sessioni di test. Nella prima sessione, dopo un riscaldamento dinamico standardizzato (5 minuti di cyclette + salti sub massimali su box alti circa 15 e 30 cm), i soggetti hanno eseguito un CMJ (profondità auto selezionata) con oscillazione delle braccia su un tappeto elettronico. L’altezza del CMJ registrata dal tappeto era usata come riferimento iniziale per stabilire la massima altezza del box.

In seguito, davanti al soggetto veniva posizionate un box corrispondente all’altezza del CMJ misurato. Il partecipante eseguiva un CMJ cercando di atterrare in sicurezza. Se l’atterraggio era riuscito, l’altezza era aumentata per piccoli incrementi; se avesse fallito, l’altezza sarebbe stata ridotta. Per ogni prova, si avevano massimo tre tentativi. Solo i salti eseguiti con tecnica corretta (uso dell’arm-swing, senza “tuck jump”, cioè senza portare le ginocchia al petto in volo) venivano considerati validi.

L’altezza massima raggiunta con tecnica corretta era registrata come massima altezza del box raggiungibile.

Dopo 48-72 ore, i soggetti sono tornati in laboratorio per la seconda sessione di test, in cui hanno eseguito un box jump ad altezze relative pari a 0, 20, 40, 60 e 80% della loro altezza massima, in ordine casuale.

I soggetti eseguivano i salti stando in piedi su due piattaforme di forza. A tutti i soggetti è stato chiesto di salire sulle piattaforme di forza (un piede su ciascuna piattaforma) e, una volta pronti, di eseguire un salto sul box il più in alto possibile.

I box erano posizionati a 5 cm dalle pedane di forza su un tappetino antiscivolo (i salti allo 0% sono stati eseguiti direttamente sul tappetino). Ogni salto è iniziato con il soggetto in piedi immobile di fronte ai box con le braccia appoggiate ai lati del corpo. Tutti i salti sono stati eseguiti su comando del ricercatore e ai soggetti è stato ricordato prima di ogni prova di saltare il più in alto possibile, indipendentemente dall’altezza dei box.

Per ogni altezza relativa, i soggetti hanno eseguito tre salti. Erano previsti intervalli di recupero di 30 secondi tra i salti e di un minuto dopo ogni altezza. Le variabili di interesse misurate e calcolate includevano

  • la forza di picco (PF)
  • la potenza di picco (PP)
  • il tasso di sviluppo della forza (RFD)
  • il picco RFD (pRFD)
  • il tempo di stacco (TToff, tempo che intercorre dall’inizio del movimento, quando la forza verticale a terra inizia a scendere rispetto al peso corporeo a riposo, fino al momento in cui il soggetto lascia il suolo)
  • l’altezza del salto (JH)
  • l’indice di forza reattiva modificato (RSImod)
  • velocità alla potenza di picco (vPP)

 

I risultati hanno evidenziato che negli uomini non si è riscontrata nessuna differenza significativa in nessuna variabile (forza, potenza, altezza del salto, tempo al decollo, ecc.) a seconda dell’altezza della box.

Nelle donne, l’unica differenza significativa è stata osservata nella forza di picco (PF), che a 80% della massima altezza era più alta rispetto a 0% (p = 0.001). Per tutte le altre variabili (potenza, velocità, altezza del salto, RSI, tempo al decollo) non ci sono state differenze significative né negli uomini né nelle donne.

In generale, l’altezza del box non influenza la meccanica propulsiva del salto quando i soggetti saltano con l’intenzione di esprimere il massimo sforzo.

L’unica eccezione (forza di picco più alta nelle donne a 80%) potrebbe riflettere un maggiore impegno psicologico/motivazionale di fronte ad un ostacolo più alto, non un vero cambiamento biomeccanico.

In conclusione, non è necessario usare box molto alte per stimolare la potenza o la forza esplosiva, perché la fase di spinta rimane invariata. Box di altezza bassa o moderata sono altrettanto efficaci e più sicure, soprattutto per atleti principianti.  Box alte richiedono solo più flessione d’anca e del ginocchio per atterrare, ma non aumentano la produzione di forza o potenza.