Sprint e rigidità muscolare migliorano l’economia di corsa

Sprint e rigidità muscolare migliorano l’economia di corsa

Per anni, il VO2max è stato considerato uno dei principali (se non l’unico) dei fattori che contribuiscono alle prestazioni di corsa.

Sebbene il VO2max sia fondamentale, l’economia di corsa (RE) è stata descritta come un predittore più accurato.

La RE è definita come la richiesta energetica necessaria per correre a una velocità sub massimale costante, può essere espressa in diverse unità di misura (mL/kg/min, mL/kcal/min, L/min) ed è influenzata da numerose variabili.

Sebbene molti fattori che la influenzano sono innati e non possano essere modificati, la qualità  e la quantità dell’allenamento possono potenzialmente influenzarla.

Diversi allenamenti possono influenzare l’RE modulando una o più delle seguenti funzioni: efficienza metabolica, cardiorespiratoria, biomeccanica o neuromuscolare.

Tra le numerose modalità di allenamento, si è ipotizzato che l’allenamento di sprint migliori l’RE attraverso miglioramenti nell’efficienza biomeccanica e neuromuscolare.

I miglioramenti nell’efficienza biomeccanica possono essere dovuti ad una cinetica più efficiente del ciclo del passo.

I miglioramenti nell’efficienza neuromuscolare possono essere dovuti ad una migliore segnalazione neurale e programmazione motoria.

Diversi studi hanno indagato la relazione tra allenamento di sprint  e RE, con diverse ricerche che mostrano risultati positivi in termini di prestazioni. Sebbene siano stati condotti studi che correlano l’allenamento di sprint con un miglioramento dell’RE in atleti moderatamente allenati, nessuno studio prospettico ha dimostrato un cambiamento positivo nell’RE secondario a protocolli di allenamento di sprint in atleti altamente allenati.

L’efficienza biomeccanica e neuromuscolare è anche influenzata dalla rigidità dell’arto inferiore (LS, leg stiffness). La LS è una misura della rigidità durante il ciclo del passo, con un suo maggiore valore correlato ad un miglioramento della RE. Sebbene esistano diversi modi per calcolarla, gli autori dello studio hanno scelto di utilizzare il modello massa-molla (l’arto inferiore è rappresentato come una molla durante il ciclo del passo, la massa rappresenta la parte superiore del corpo). Con l’aumentare della rigidità, la molla immagazzina più energia potenziale in appoggio, che viene poi trasformata in energia cinetica durante la fase di spinta del passo.  Inoltre, più rigido è l’arto durante la fase di appoggio, minore sarà lo spostamento verticale del baricentro che un corridore sperimenterà. Questo consente alla muscolatura degli arti inferiori di utilizzare l’energia in modo più efficiente nella propulsione del corpo in avanti, anziché utilizzare energia estranea per riportare il baricentro nella sua necessaria posizione verticale prima della propulsione in avanti.

Nello studio di Thibault et al. (Int J Exerc Sci. 2025 Mar 1;18(5):290-305. doi: 10.70252/SKPQ5840), gli autori hanno valutato l’impatto di un allenamento di sprint eseguito una volta alla settimana sull’economia di corsa (RE) e sulla rigidità degli arti inferiori (LS) in atleti altamente allenati.

Sono stati selezionati venticinque atleti (12 M, 13 F, età media 24,8 ± 7,1).

I partecipanti sono stati reclutati in base al volume di esercizio settimanale (minimo 4 ore) e alle capacità atletiche calcolate tramite il World Athletics Score (sistema ufficiale di punteggio sviluppato dalla World Athletics, ex IAAF, che quantifica la prestazione atletica in base al tempo, alla distanza o al punteggio ottenuto in una gara. Un punteggio superiore a 500 indica una prestazione di buon livello competitivo, tipica di atleti altamente allenati o sub-élite), con un valore minimo di 500.

Per la valutazione della RE, i partecipanti hanno corso su treadmill a tre velocità, corrispondenti al 70%, 80%, 90% del ritmo sui 10 km (se il ritmo sui 10 km non era noto, è stato calcolato usando il World Athletics Score). Il VO₂ veniva misurato continuamente.

Lo stato stazionario era considerato raggiunto quando la variazione del VO₂ tra due intervalli di 30 s risultava inferiore al 10%.

Una volta raggiunto, i partecipanti hanno continuato a correre per tre minuti per raccogliere dati affidabili. Dopo aver completato ogni fase, i partecipanti eseguivano due o tre minuti di recupero attivo ad un ritmo auto selezionato per passare in seguito alla fase successiva. Dopo la fase finale, i soggetti hanno fatto jogging ad un ritmo auto selezionato per due o cinque minuti.

Nel laboratorio di biomeccanica, è stata misurata la lunghezza dell’arto inferiore (cm) dal pavimento al grande trocantere; il centro di massa è stato segnato con nastro adesivo sulla spina iliaca postero-superiore. In seguito, i soggetti hanno corso su un tapis roulant alle tre velocità precedenti (70%, 80%, 90% del ritmo sui 10 km).

Durante ogni fase, venivano raccolti dati biomeccanici per 8 s: forze di reazione al suolo (vGRF), tempo di contatto (Tc), ed è stato eseguita un’analisi video in 2D per misurare lo spostamento verticale del centro di massa (Δy). Per ogni velocità, venivano analizzati cinque passi consecutivi del piede destro, scelti casualmente all’interno di quegli otto secondi.

I dati raccolti da questi cinque passi sono serviti per calcolare la LS secondo il modello molla-massa: Kleg = Fmax / ΔL, ΔL = Δy + L0(1 − cosθ), θ = sin−1 [(v * Tc) / (2 * L0), dove ΔL è la variazione della lunghezza dell’arto durante la fase di appoggio del ciclo del passo; Δy è lo spostamento verticale del centro di massa durante la fase di appoggio del ciclo del passo; L0 è la lunghezza dell’arto a riposo; θ è l’angolo tra l’arto al contatto iniziale con il suolo e l’asse verticale; v è la velocità di corsa orizzontale; Tc è il tempo di contatto con il suolo e Fmax è la vGRF.

L’intervento consisteva in un protocollo di dodici settimane di allenamenti di sprint, integrato nel regime di allenamento standard di ciascun partecipante (il protocollo di allenamento viene fornito dagli autori nell’articolo, che è scaricabile gratuitamente).

Gli allenamenti di sprint dovevano essere completati su terreno solido (ovvero non su un tapis roulant). Nel corso delle settimane, la durata degli sprint è aumentata, mentre l’intensità non variava. Ogni settimana includeva quindi sprint su distanze crescenti, da 30 metri fino a 100 metri (esempio: settimana 1: 2 serie da 6 sprint da 30 m; settimana 4: 4×40 m, 3×50 m, 2×60 m; settimana 12: 2×60 m, 2×80 m, 2×100 m). Nonostante l’aumento della distanza, ogni sprint doveva essere corso alla stessa intensità massima, per mantenere costante lo stimolo allenante.

La RE è stata misurata in due modi: mL/kg/min: consumo di ossigeno relativo; kcal/kg/min: costo energetico in calorie.

I risultati hanno evidenziato che i soggetti hanno mostrato un miglioramento medio a tutte e tre le velocità testate (70%, 80%, 90% del ritmo sui 10 km). Anche se non statisticamente significativo (p > 0.05), la tendenza è risultata positiva: −2.0% a 70%, −1.2% a 80%, −1.0% a 90% in mL/kg/min. Miglioramenti simili espressi in kcal/kg/min.

La LS è aumentata in modo statisticamente significativo: +14.5% a 70%, +14.1% a 80%, +17.0% a 90% (p < 0.05). Il Tc è diminuito leggermente, indicando una maggiore reattività. Il Δy (spostamento verticale del centro di massa) è diminuito drasticamente: −17.7%, −15.7%, −17.3% rispettivamente, con effetti molto forti (coefficiente d di Cohen > 0.9). La vGRF/kg è migliorata solo al 90% del ritmo sui 10 km (l’aumento della vGRF/kg a velocità più alta suggerisce una maggiore capacità di generare forza in fase di spinta).

In conclusione, lo studio ha mostrato che la LS, che ha dimostrato di migliorare indipendentemente le prestazioni e la RE, può essere migliorata da un allenamento di sprint in atleti altamente allenati.