Prestazioni A Confronto Dopo Ricostruzione Del LCA

Prestazioni A Confronto Dopo Ricostruzione Del LCA

La rottura del legamento crociato anteriore (LCA) rappresenta un grave infortunio al ginocchio, sempre più comune negli sport praticati su campi aperti o su superfici delimitate.

La ricostruzione del LCA (RLCA) rimane l’opzione di trattamento primaria per ripristinare la stabilità passiva dell’articolazione del ginocchio. Tuttavia, nonostante l’intervento chirurgico e la riabilitazione, quasi la metà degli atleti non torna allo sport competitivo e il 20%-25% subisce una seconda lesione.

Ciò evidenzia i potenziali limiti delle pratiche convenzionali di riabilitazione del LCA e indica che ci sia ancora molto da imparare sui meccanismi che contribuiscono agli scarsi risultati post-chirurgici.

Sono stati segnalati deficit a lungo termine nella prestazione di salto verticale quando si sono confrontati gli arti ricostruiti con quelli controlaterali non lesionati. Studi precedenti hanno dimostrato che i soggetti con RLCA mostravano una riduzione della potenza e del lavoro dell’articolazione del ginocchio, nonché un contributo alterato dei muscoli degli arti inferiori, come una forza ridotta durante l’esecuzione di salti verticali da parte del muscolo soleo e retto femorale.

Di conseguenza, le linee guida per la pratica clinica attuale raccomandano, come parte dei criteri di ritorno al gioco, di valutare l’asimmetria tra gli arti da misure derivate da pedana di forza nella prestazione di salto verticale.

Pochi studi hanno esplorato le differenze tra gli arti nell’attivazione muscolare durante salto verticale in individui con una storia di RLCA.

L’atrofia muscolare è un’altra conseguenza ben nota. Gli arti ricostruiti mostrano in genere deficit nel volume del muscolo quadricipite, che sono più pronunciati durante i primi sei mesi di recupero. Inoltre, una parte significativa delle procedure RLCA coinvolge autoinnesti del muscolo semitendinoso, che sono associati a riduzioni croniche del suo volume. I deficit nei volumi dei muscoli quadricipite e posteriori della coscia riducono rispettivamente la capacità di produrre momenti estensorio e flessorio del ginocchio, il che può influire sulla funzione muscolare durante prestazioni atletiche ad alta velocità.

Tuttavia, pochi studi hanno esaminato l’impatto della RLCA sulla morfologia di altri muscoli degli arti inferiori. Inoltre, nessuno studio ha esplorato contemporaneamente le differenze tra i volumi muscolari degli arti inferiori e attività muscolare durante un atterraggio dopo salto verticale.

La risonanza magnetica funzionale muscolare (fMRI, Muscle Functional Magnetic Resonance Imaging) offre un metodo ad alta risoluzione per valutare le dimensioni muscolari e quantificare l’attività muscolare durante un esercizio. Questa tecnica di imaging rileva gli aumenti indotti dall’esercizio dal tempo di rilassamento trasversale (T2) dell’acqua tissutale, che risulta essere proporzionali all’intensità dell’esercizio, e ha dimostrato una relazione coerente con le misure della sEMG integrate dell’attività muscolare. La fMRI è stata recentemente utilizzata per esaminare le differenze tra gli arti nell’attività dei muscoli posteriori della coscia durante esercizi per i flessori del ginocchio dopo RLCA. Tuttavia, non è mai stata applicata per analizzare l’attività muscolare degli arti inferiori in azione più dinamiche, come durante un salto verticale.

Nello studio di Dutaillis et al. (Scand J Med Sci Sports. 2025 Jun;35(6): e70079. doi: 10.1111/sms.70079), gli autori hanno analizzato le differenze tra gli arti inferiori nelle dimensioni e nell’attività dei muscoli durante l’atterraggio dopo un’azione di salti verticali ripetuti in atleti con una storia di ricostruzione unilaterale del legamento crociato anteriore.

Sono stati selezionati dodici atleti amatoriali (n = 5 maschi, 25,0 ± 4,6 anni, 181,8 ± 4,5 cm, 80,2 ± 13,3 kg e n = 7 femmine, 20,4 ± 1,0 anni, 152,3 ± 40,5 cm, 69,4 ± 9,3 kg), che sono stati sottoposti ad intervento di RLCA con un innesto prelevato dal muscolo semitendinoso (autograft). Tutti i soggetti hanno seguito un percorso riabilitativo standard sotto la guida di un fisioterapista qualificato e hanno riferito di aver svolto un allenamento pliometrico e contro resistenza ad alta intensità volto a ripristinare la funzionalità degli arti inferiori durante il recupero. Il tempo medio trascorso dall’intervento era di 72,0 settimane (intervallo 49,7-136,0).

Lo studio trasversale ha previsto una singola sessione di test. All’arrivo presso la struttura, i soggetti sono rimasti seduti per almeno 15 minuti per ridurre al minimo lo spostamento di liquidi intramuscolari. Successivamente, sono stati sottoposti a fMRI degli arti inferiori prima e subito dopo un protocollo di salti ripetuti.

I soggetti hanno completato dei salti con contro movimento e rimbalzo, eseguendo un salto con contro movimento massimale e, all’atterraggio, un secondo salto massimale sempre con contro movimento. Ai soggetti è stato chiesto di mantenere le mani sui fianchi e di saltare “il più in alto e velocemente possibile”, con una profondità auto selezionata, con l’obiettivo di massimizzare l’altezza e ridurre al minimo il tempo di contatto con il suolo. I ricercatori hanno fornito un forte incoraggiamento verbale per ottenere il massimo sforzo durante ogni salto.

I soggetti hanno completato 30 ripetizioni (per un totale di 60 salti). Ogni ripetizione consisteva in un doppio salto (primo salto massimale seguito immediatamente da un secondo). Per garantire che il protocollo producesse un cambiamento rilevabile nel tempo di rilassamento trasverso (T2) dell’acqua nei tessuti muscolari è stato inserito un periodo di recupero di 10 s tra le ripetizioni. Questo intervallo di recupero è stato scelto per evitare un accumulo eccessivo di fatica, che avrebbe potuto alterare i dati e rendere difficile distinguere gli effetti del carico muscolare dai segni di affaticamento generale.

Utilizzando delle pedane di forza, sono state registrate le forze di reazione al suolo separatamente per ciascun arto.

L’impulso positivo medio (quantità totale di impulso generata da un arto durante una fase di movimento, in particolare quando la forza applicata supera il peso corporeo) è stato calcolato per ciascun arto durante la prova, sommando gli impulsi della fase eccentrica e concentrica, ottenuti dai dati della pedana di forza e calcolando la media su tutte le prove. Il tempo trascorso tra la fine del protocollo di salti e la misurazione del T2 post-esercizio è stato di 155 ± 11 s.

Il protocollo di salti ripetuti ha richiesto in totale 385 secondi per essere completato.

Sono stati analizzati il ​​tempo di rilassamento T2 e i volumi muscolari di dodici muscoli principali degli arti inferiori: gluteo medio, grande gluteo, retto femorale, vasto laterale, vasto mediale, vasto intermedio, semitendinoso, semimembranoso, capo lungo del bicipite femorale, capi laterale e mediale del gastrocnemio e soleo.

La variazione percentuale del tempo di rilassamento T2 dal pre- al post-esercizio per ciascun muscolo è stata calcolata utilizzando la seguente formula: % variazione in T2 = (T2 post-esercizio − T2 pre-esercizio) ∕T2 pre-esercizio × 100.

È stata utilizzata una regressione lineare per valutare in che misura l’asimmetria tra gli arti nei volumi muscolari e le variazioni percentuali nei tempi di rilassamento T2 fossero associate all’asimmetria tra gli arti nell’impulso positivo medio. L’asimmetria tra gli arti è stata calcolata per i volumi muscolari, variazione nel T2 e impulso totale medio utilizzando le seguenti formule: per il volume muscolare = (non leso − ACLR) ∕ non leso × 100; variazioni nel T2 e impulso totale medio = (non leso − ACLR) ∕ (non leso + ACLR) × 100.

Gli arti con RLCA presentavano volumi muscolari più piccoli nel vasto mediale (p = 0,028), retto femorale (p = 0,019), semitendinoso (p < 0,001) e capo laterale del gastrocnemio (p = 0,028) rispetto ai muscoli omonimi nell’arto controlaterale.

Inoltre, mostrato minori variazioni percentuali nel tempo di rilassamento T2 per il muscolo semitendinoso (p < 0,001), semimembranoso (p = 0,002), gastrocnemio laterale (p = 0,014) e soleo (p = 0,008), mentre il vasto laterale ha mostrato un aumento maggiore (p = 0,001) rispetto agli arti controlaterali.

Gli arti con RLCA hanno mostrato un impulso positivo medio inferiore durante le prove di salti ripetuti (differenza media = −26,6 Ns, 95% CI = 6,1–47,2, d = −1,1) rispetto a quelli controlaterali non lesi. Questo suggerisce che l’arto ricostruito ha una capacità ridotta di generare forza durante il salto, probabilmente a causa di deficit muscolari e alterazioni nell’attivazione neuromuscolare (la riduzione delle dimensioni del muscolo quadricipite è probabilmente una conseguenza dello scarico e dell’inibizione muscolare artrogena in seguito a lesioni e interventi chirurgici).

L’asimmetria tra gli arti nel volume e nell’attività del muscolo quadricipite è stata associata a quella dell’impulso nella fase di atterraggio durante salto verticale (r2 = 0,30–0,34).

In conclusione, i risultati di questo studio evidenziano deficit nelle dimensioni e nell’attività muscolare degli arti inferiori a seguito di RLCA che persistono anche dopo una riabilitazione apparentemente riuscita e il ritorno ai livelli di allenamento e competizione pre-infortunio.

In particolare, l’atrofia del quadricipite è stata associata ad un’attività muscolare alterata e a una strategia di salto asimmetrica, suggerendo che interventi mirati per ripristinare le dimensioni del quadricipite possono migliorare la funzionalità e le prestazioni dell’articolazione del ginocchio. Analogamente, la riabilitazione del semitendinoso dopo il prelievo del tendine rimane una sfida, poiché gli esercizi che mirano preferibilmente al semitendinoso negli arti non infortunati, come il Nordic Hamstring Curl, sono meno efficaci nel reclutamento di questo muscolo dopo la ricostruzione del legamento crociato anteriore. Di conseguenza, potrebbe essere vantaggioso sviluppare strategie di riabilitazione che mirino specificamente al semimembranoso; ad esempio, un allenamento di estensione dell’anca stimola un’ipertrofia semimembranosa significativamente maggiore rispetto agli esercizi che coinvolgono il ginocchio.