Termogenesi Adattiva E Recupero Del Grasso Corporeo

Termogenesi Adattiva E Recupero Del Grasso Corporeo

L’obesità, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “un accumulo di grasso anomalo o eccessivo che presenta un rischio per la salute”, è oggi sempre più definita come “processo patologico cronico recidivante”.

La sua caratterizzazione come “processo patologico” evidenzia la moltitudine di percorsi attraverso i quali l’eccesso di adiposità può contribuire alla patogenesi di malattie croniche debilitanti (ad esempio diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e muscoloscheletriche, diversi tipi di cancro), mentre la sua natura “cronica recidivante” sottolinea l’esistenza di un punto di riferimento o di assestamento del peso corporeo che viene difeso. In altre parole, la risposta fisiologica alla perdita di peso nelle persone obese, proprio come in quelle magre, innesca meccanismi compensatori per il suo recupero.

Tuttavia, in molte situazioni di ripresa del peso, il grasso corporeo sembra essere prioritario in quanto si verifica un recupero sproporzionatamente più rapido della massa grassa, con un recupero del tessuto magro ritardato. Questo fenomeno, definito come “recupero del grasso” agevolato (catch-up fat, recupero accelerato del grasso), è stato documentato durante la rialimentazione controllata dopo semi-digiuno sperimentale in giovani uomini e durante la riabilitazione nutrizionale di adulti e bambini malnutriti.

La natura pressoché onnipresente di questo fenomeno di recupero preferenziale del grasso accumulato durante l’arco della vita, anche in condizioni di alimentazione limitata o con diete ben bilanciate, suggerisce che, dopo un deficit ponderale significativo, una maggiore efficienza metabolica per il recupero del grasso sia un processo fisiologico fondamentale.

Da una prospettiva evoluzionistica, le riserve di grasso corporeo svolgono un ruolo cruciale nel soddisfare il fabbisogno energetico di un individuo durante lunghi periodi di scarsità di cibo, proteggendo al contempo l’integrità funzionale dei tessuti magri e degli organi vitali. Infatti, è ampiamente dimostrato che la misura in cui le proteine ​​corporee vengono utilizzate come substrato energetico durante il digiuno è inversamente proporzionale al livello iniziale di grasso (pre-carestia). Di conseguenza, un metabolismo parsimonioso (conservazione dell’energia) di recupero del grasso (thrifty metabolism for catch-up fat) è evolutivamente vantaggioso poiché garantisce un ripristino più rapido della capacità di sopravvivenza, conferita dalla priorità al recupero delle riserve di grasso corporeo (piuttosto che dei tessuti magri), in preparazione al successivo periodo di ridotta disponibilità di cibo. Inoltre, fornisce un’alternativa all’iperfagia (aumento eccessivo e incontrollato della fame) per accelerare il rifornimento delle riserve di grasso e quindi migliorare la capacità di sopravvivenza quando la ridisponibilità di cibo è limitata.

I meccanismi sottostanti, tuttavia, rimangono poco compresi, nonostante il notevole interesse per questo metabolismo parsimonioso (concetto che descrive la capacità del corpo di conservare energia e favorire l’accumulo di grasso in risposta a periodi di restrizione calorica o scarsità di cibo).

Nello studio (review) di Dulloo AG (Rev Endocr Metab Disord. 2025 May 26. doi: 10.1007/s11154-025-09970-9), l’autore esamina le prove negli esseri umani dell’esistenza di questo metabolismo parsimonioso nell’ambito di un ciclo di retrazione (feedback) tra l’esaurimento delle riserve di grasso e diminuzione della termogenesi.

L’idea che gli esseri umani e altri mammiferi rispondano al deficit energetico conservando energia attraverso una produzione di calore regolata ha una lunga storia (secolare). La sua origine nell’uomo può essere fatta risalire agli esperimenti di Francis Benedict (1915) sul digiuno prolungato, durante i quali si scoprì che il metabolismo basale diminuiva ad un ritmo sproporzionatamente maggiore rispetto alla diminuzione del peso corporeo.

La termogenesi adattiva, ovvero il meccanismo con cui il corpo conserva o dissipa energia in risposta a cambiamenti nel bilancio energetico (valutata come tasso metabolico basale o dispendio energetico, EE, a riposo, REE, inferiore a quello previsto dai cambiamenti nella massa magra, FFM, e nella massa grassa, FM), è stata dimostrata dopo un deficit energetico grave o modesto, indotto sperimentalmente in giovani adulti sani di peso corporeo normale, in pazienti con anoressia nervosa, dopo la perdita di peso negli atleti e in individui anziani sani, così come dopo dimagrimento terapeutico tramite dieta e/o esercizio in persone giovani e anziane con sovrappeso o obesità.

Da un punto di vista fisiologico, la termogenesi adattativa in risposta al deficit energetico è mediata principalmente attraverso una ridotta attività del sistema nervoso simpatico (SNS, e rilascio di noradrenalina), insieme con una depressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide (HPT), che porta a livelli circolanti ridotti di ormoni tiroidei. Quali organi/tessuti siano coinvolti in tale conservazione di energia non è ben definito.

Studi su roditori suggeriscono che la diminuzione della termogenesi del tessuto adiposo bruno risulta associata ad una diminuzione dell’attivazione del SNS e, di conseguenza, ad una ridotta espressione della proteina disaccoppiante UCP1, che è essenziale per la produzione di calore in questo tessuto. Diversi altri organi e tessuti sono probabilmente coinvolti poiché le misurazioni del flusso sanguigno regionale accoppiato al consumo di ossigeno artero-venoso nel ratto suggeriscono che si verificano importanti risparmi energetici quantitativi negli organi splancnici e nella massa muscolo-scheletrica in risposta a digiuno; gli effettori molecolari coinvolti, tuttavia, rimangono sfuggenti.

In effetti, è generalmente accettato che in risposta alla restrizione calorica, si verifichi una riduzione precoce e tempestiva della REE, che è innescata dal  che influisce direttamente sull’attivazione del SNS e dell’HPT, entrambi coinvolti nel controllo del dispendio energetico. Contrariamente alle prove provenienti da studi su animali secondo cui la termogenesi adattativa persiste anche durante la ripresa del peso, con lo scopo di migliorare l’efficienza del recupero del grasso, le prove negli esseri umani sono poche e derivate da studi dopo perdite di peso che andavano da significative (10-15%) a severe (20-40%). Ad esempio, nello studio che ha analizzato i quattordici soggetti, con obesità grave (classe III), che hanno preso parte alla competizione “The Biggest Loser” negli Stati Uniti e che hanno perso circa il 40% del loro peso corporeo in 30 settimane con un programma costituito da restrizione calorica ed esercizio ad alta intensità, la termogenesi adattiva, valutata come REE aggiustata per la massa alla fine del periodo di perdita di peso, si è rivelata persistente sei anni dopo la fine della competizione, momento in cui i soggetti avevano recuperato il 70% del peso corporeo perso, con un recupero del grasso corporeo pari al 75% rispetto al 52% per il recupero della FFM.

Nel complesso, sembra che esistano due distinti sistemi di controllo per la termogenesi adattativa in risposta al deficit energetico: un sistema che agisce rapidamente nei confronti di un deficit energetico di per sé e un sistema a reazione più lenta, legato alla deplezione delle riserve di grasso.

Il primo sistema, poiché il suo ramo efferente (attività del sistema nervoso simpatico e asse HPT) è influenzato da segnali sovrapposti o interagenti derivanti da una varietà di stress ambientali, tra cui la privazione di cibo, la carenza di nutrienti essenziali, l’eccessivo apporto energetico e l’esposizione al freddo o alle infezioni, viene definito controllo “non specifico” della termogenesi ed è probabile che si verifichi principalmente in organi/tessuti con un elevato tasso metabolico specifico (ad esempio, fegato, reni, tessuto adiposo bruno).

Al contrario, il secondo sistema di controllo ha una costante di tempo molto più lenta, in virtù della sua risposta solo ai segnali derivanti dallo stato di deplezione/riplezione delle riserve di grasso; viene quindi definito come il sistema che opera attraverso un controllo della termogenesi specifico del tessuto adiposo (‘adipose-specific’ control system).

Durante la fase di rialimentazione e il recupero del peso, il rapido aumento di insulina e leptina porta al ripristino dell’attività del SNS e HPT e quindi alla riattivazione del controllo “non specifico” della termogenesi. Quindi, mentre le concentrazioni plasmatiche degli ormoni tiroidei vengono quasi o totalmente ripristinate precocemente durante questa fase, nuove prove suggeriscono che il fenotipo parsimonioso del recupero del grasso risulta essere uno stato di resistenza periferica alle azioni degli ormoni tiroidei nel muscolo scheletrico.

Poiché il muscolo scheletrico (che costituisce il 30-40% della massa corporea) contribuisce in modo quantitativamente importante alla EE giornaliera e rappresenta un sito importante per l’utilizzo e smaltimento del glucosio mediato dall’insulina, ne consegue che la soppressione della termogenesi in questo tessuto si tradurrebbe in una ridotta utilizzazione del glucosio a livello muscolare, con conseguente iperinsulinemia compensatoria. Questa, a sua volta, reindirizzerebbe il glucosio risparmiato dall’ossidazione nel muscolo scheletrico verso la de novo lipogenesi nel tessuto adiposo (o nel fegato e poi esportato nei tessuti adiposi), contribuendo così al recupero del grasso accumulato e, al contempo, al raggiungimento dell’omeostasi glicemica.

Negli ultimi dieci anni, sono emerse prove che suggeriscono che la resistenza del muscolo scheletrico al controllo neuro-ormonale della termogenesi può essere conferita da alterazioni locali nel metabolismo degli ormoni tiroidei, attraverso cambiamenti coordinati negli enzimi della deiodinazione (deiodinasi sono enzimi che regolano il metabolismo degli ormoni tiroidei, modulando la loro attivazione o inattivazione; esistono tre tipi principali di deiodinasi: D1, D2 e D3). In particolare, si assiste ad una diminuzione della cinetica nella conversione della tiroxina (T4) nel T3 biologicamente più attivo e riduzione dell’enzima deiodinasi di tipo 2 (D2), che catalizza la conversione di T4 in T3, e concomitante incremento dell’enzima deiodinasi di tipo 3 (D3), il principale enzima inattivante l’ormone tiroideo, poiché degrada il T4 in triiodotironina inversa (rT3), così come T3 in diiodotironina (T2), con conseguente diminuzione della disponibilità intracellulare di T3 (ipotiroidismo del muscolo scheletrico, alterazioni del metabolismo degli ormoni tiroidei nel muscolo scheletrico).

Questi cambiamenti nel metabolismo dell’ormone tiroideo, sono stati osservati in tutti i tipi di muscolo scheletrico studiati, siano essi prevalentemente glicolitici, ossidativi lenti o ossidativo-glicolitici.

Inoltre, diverse caratteristiche delle proprietà metaboliche e contrattili del muscolo scheletrico, che sono note per essere associate all’ipotiroidismo clinico, e che portano al risparmio energetico, potrebbero essere dimostrate anche durante la ripresa del peso. In primo luogo, si verifica un ritardo nella cinetica di contrazione-rilassamento dei muscoli degli arti posteriori (in riferimento a studi fatti su animali); una velocità inferiore del ciclo di contrazione-rilassamento è associata a riduzioni nel turnover dell’ATP. In secondo luogo, si verifica un aumento della proporzione di fibre muscolari lente (rosse, tipo I) a scapito delle fibre muscolari veloci (bianche, tipo II); in termini di risparmio di substrato energetico, i muscoli a contrazione lenta sono più efficienti durante la contrazione (utilizzano meno ATP per unità di forza generata) rispetto ai muscoli a contrazione rapida. In terzo luogo, si verifica una riduzione del tasso di ricambio delle proteine ​​muscolari (turnover proteico, processo dinamico di sintesi e degradazione delle proteine all’interno del corpo), con una diminuzione sia della sintesi proteica che della degradazione proteica, contribuendo alla soppressione della termogenesi e favorendo l’accumulo di grasso.

Oltre al suo ruolo nel metabolismo del muscolo scheletrico e nelle sue funzioni contrattili, la regolazione locale di T3 è anche cruciale per la crescita e la rigenerazione muscolare attraverso la sua regolazione dell’espressione di geni specifici del muscolo coinvolti nelle varie fasi della miogenesi e nei meccanismi di riparazione muscolare da cui dipende la funzionalità muscolare (miogenesi compromessa e rigenerazione muscolare alterata sono fenomeni che possono verificarsi in condizioni di grandi fluttuazioni di peso e ciclo di perdita e recupero del peso).

Infine, una conseguenza indiretta dell’ipotiroidismo del muscolo scheletrico che favorisce il recupero del grasso è che, in condizioni di recupero di ingenti perdite sia di massa grassa che di massa magra, il risultante squilibrio nel recupero della composizione corporea, con un recupero della massa grassa anticipato rispetto a quella magra, può influire sulla durata dell’iperfagia compensatoria post-restrizione calorica.

Esistono infatti prove crescenti da studi sull’uomo sulla ripresa di peso dopo digiuno o dimagrimento terapeutico che, oltre ad un deficit di massa grassa, anche un deficit di massa magra può contribuire alla successiva iperfagia, sottolineando così le interazioni tra deficit di massa muscolare e centri cerebrali che regolano l’appetito, che orchestrano un comportamento alimentare alterato.

Il quadro concettuale che risulta illustra i meccanismi attraverso i quali un fenotipo parsimonioso di recupero del grasso corporeo, mediato da ipotiroidismo del muscolo scheletrico, che può portare a compromissioni della funzionalità muscolare e ad una predisposizione all’adiposità eccessiva, può fornire una spiegazione meccanicistica dei risultati di diversi studi retrospettivi che collegano la ciclicità del peso al rischio di obesità sarcopenica (coesistenza di eccesso di adiposità e ridotta massa muscolare o funzionalità muscolare compromessa).

Infatti, una storia di ciclicità del peso tra persone di età compresa tra giovani e mezza età o anziane con sovrappeso/obesità è stata associata ad un aumento della massa grassa, alla perdita di massa magra e ad un aumento del rischio di obesità sarcopenica.