Allenamento periodizzato, sincronizzazione del ciclo, allenamento mediato dal ciclo mestruale e allenamento “innescato” dal ciclo mestruale (menstrual cycle–triggered training) sono termini usati per descrivere la periodizzazione o la programmazione di allenamenti di forza e/o endurance in linea con le fasi del ciclo mestruale.
Questo “approccio” all’allenamento è stato raccomandato nei media popolari e sui social media attraverso applicazioni commerciali per smartphone, letteratura divulgativa e articoli di opinione scientifica.
Quali sono le conclusioni che si possono ottenere analizzando la letteratura revisionato da pari?
Nell’articolo di Mikkonen et al. (Strength Cond J. 47(6): p 630-642, December 2025. DOI: 10.1519/SSC.0000000000000917), gli autori svolgono una revisione (review) con lo scopo di rivedere criticamente la letteratura scientifica riguardante la periodizzazione dell’allenamento in base al ciclo mestruale per migliorare le prestazioni di forza e/o endurance.
La premessa per la periodizzazione dell’allenamento in base al ciclo mestruale è che le azioni degli ormoni sessuali femminili come estradiolo (E2) e progesterone (P4) non si limitano alla riproduzione e che queste azioni non riproduttive possono essere “sfruttate” per migliorare o “ottimizzare” gli adattamenti all’allenamento e/o che l’allenamento durante le fasi “sintomatiche” del ciclo mestruale, come la fase follicolare precoce (sanguinamento/mestruazioni) e la fase premestruale luteale tardiva, dovrebbe concentrarsi sul recupero.
Infatti, sebbene il compito primario di E2 e P4 sia quello di preparare l’utero ad una possibile gravidanza, questi ormoni svolgono anche diverse funzioni che vanno oltre la riproduzione. È noto che gli ormoni sessuali femminili agiscono sui tessuti muscolari, nervosi, epiteliali e connettivi, influenzando anche i processi fisiologici in tutto il corpo, inclusi quelli relativi al metabolismo, alla funzione cardiovascolare e polmonare, alle risposte del sistema nervoso autonomo, all’attività immunitaria, alla funzione gastrointestinale e genitourinaria e alla cognizione.
Il ciclo mestruale comprende una serie di cambiamenti ormonali nel corpo femminile che, in ultima analisi, lo preparano alla gravidanza.
Un ciclo mestruale può essere considerato “eumenorroico” (fisiologico, regolare) se è caratterizzato da una durata normale compresa tra ≥ 21 e ≤ 35 giorni, con almeno 9 cicli consecutivi all’anno, e presuppone l’assenza di uso di contraccettivi ormonali nei 3 mesi precedenti.
Ciò riflette anche la regolare fluttuazione degli ormoni ovarici E2 e P4, accompagnata dall’ormone luteinizzante (LH) e dall’ormone follicolo-stimolante, con conseguente profilo ormonale caratterizzato da 2 fasi di base e da un picco del LH approssimativamente a metà ciclo, corrispondente all’ovulazione.
L’ovulazione divide il ciclo mestruale in una fase pre-ovulatoria e una fase post-ovulatoria, comunemente chiamate rispettivamente fase follicolare e luteinica.
La fase follicolare può durare da circa 10 a 22 giorni, mentre la fase luteinica da circa 7 a 17 giorni.
Data la variabilità tra individui e, in alcuni casi, tra cicli mestruali nello stesso soggetto, metodi completi di rilevamento della fase del ciclo mestruale sono fondamentali.
La fase follicolare è caratterizzata da basse concentrazioni di E2 e P4, dove l’E2 aumenta costantemente, raggiungendo il suo picco prima di quello del LH.
La fase luteale è caratterizzata da concentrazioni aumentate sia di E2 che di P4 rispetto alla fase follicolare, che diminuiscono rapidamente prima dell’inizio di un nuovo ciclo, se non si verifica una gravidanza.
Quindi, un ciclo mestruale realmente fisiologico (eumenorrea) è caratterizzato da una durata regolare, ovulazione confermata, livelli ormonali tipici (E2 e P4) e un picco di LH che precede l’ovulazione.
Per identificarlo servono misure ormonali dirette (urine o sangue). Poiché misurare ormoni e LH non è sempre possibile, molti studi usano una definizione più semplice (“natural cycle”): un ciclo di 21–35 giorni, senza conferma ormonale.
È una definizione pratica, ma non garantisce che il ciclo sia fisiologicamente normale. L’uso della durata del ciclo come criterio può includere donne con disfunzioni subcliniche che alterano i livelli ormonali. Un ciclo può sembrare “normale”, ma esser anovulatorio, con fase luteale difettosa, con livelli ormonali atipici.
Queste condizioni non alterano necessariamente la durata del ciclo, quindi non vengono rilevate senza misure ormonali. Di conseguenza, i risultati degli studi sulla periodizzazione dell’allenamento basata sul ciclo possono essere distorti o non interpretabili.
Su quali basi è giustificato l’allenamento periodizzato in funzione del ciclo mestruale? Esisto diverse giustificazioni riportate.
Giustificazione ormonale: “sfruttare” gli estrogeni e progesterone. L’idea nasce dal fatto che E2 e P4, come si è detto, non agiscono solo sulla riproduzione, ma influenzano muscolo, sistema nervoso, metabolismo, tessuti connettivi, infiammazione…. Da qui la narrativa popolare:
- fase follicolare = più anabolica (più E2, che agisce come un ormone anabolico attivando le cellule satellite e inibendo il catabolismo proteico, meno P4)
- fase luteale = più catabolica (P4 più alto, che “inibirebbe” E2)
Questa interpretazione viene usata per proporre:
- più forza nella fase follicolare
- più recupero nella fase mestruale
- più endurance nella fase luteale
Queste conclusioni però derivano da studi metodologicamente deboli, spesso senza conferma ormonale e con campioni piccoli.
Giustificazione basata su sintomi e percezioni.
Poiché molte donne riferiscono sintomi premestruali o mestruali, allora ha senso adattare l’allenamento a queste fasi. Ma l’articolo sottolinea che i sintomi non sono universali, non sono sempre legati alle fasi ormonali e non esistono prove che adattare l’allenamento a questi schemi migliori la performance. Giustificazione basata su variazioni della performance.
Un’ulteriore giustificazione usata per promuovere la periodizzazione dell’allenamento in base al ciclo mestruale deriva da ricerche che riportano cambiamenti nella performance (oggettiva) e nella performance percepita (soggettiva) nelle diverse fasi del ciclo. Gli studi che riportano differenze nella performance tra fasi del ciclo mostrano: differenze minime (spesso inferiori alla variabilità giornaliera normale), risultati non replicabili e direzioni contraddittorie (alcuni trovano più forza nella fase follicolare, altri in quella luteale). Lo studio sottolinea che queste differenze non sono sufficienti per costruire un modello di periodizzazione; non superano la variabilità intra‑individuale dovuta a sonno, stress, carico, nutrizione. In altre parole, le differenze esistono, ma sono troppo piccole e troppo variabili per essere utili.
Giustificazione basata sul metabolismo. Alcuni studi mostrano un maggiore uso dei lipidi nella fase luteale, con un potenziale “risparmio del glicogeno”. Da qui l’idea che la fase luteale è ideale per l’allenamento di endurance.
In conclusione, il messaggio di fondo della revisione è netto:
- non esistono prove scientifiche solide che supportino la periodizzazione dell’allenamento (forza o endurance) in base alle fasi del ciclo mestruale
- le differenze tra fasi del ciclo, quando presenti, sono piccole, incoerenti e metodologicamente inaffidabili
- il modello “alleniamoci in modo diverso nella fase follicolare vs luteale” è, allo stato attuale, un costrutto più narrativo/commerciale che scientifico
In particolare, la definizione di ciclo e fasi risulta imprecisa. Spesso si usano solo il calendario e auto-dichiarazioni (“giorno del ciclo”) per classificare le fasi.
Raramente vengono confermate l’ovulazione (LH urinario) e i profili ormonali (E₂, P₄ plasmatici).
Se la fase ormonale reale non è nota, non si può attribuire nulla all’estrogeno o al progesterone.
Molti studi sono numericamente poveri e/o con campioni eterogenei (sedentarie, moderatamente attive, poche atlete). I risultati non sono generalizzabili alle realtà di una prestazione elevata dove si vorrebbe applicare la periodizzazione basata sul ciclo. Inoltre, gran parte del corpus è svolto su risposte in acuto (cross‑sectional research performance, in quel giorno, quel test, quella fase).
Pochissimi studi hanno veramente confrontato modelli di allenamento periodizzati sul ciclo vs periodizzazione tradizionale su settimane/mesi.
Il livello delle prove è basso e non giustifica raccomandazioni operative.
Il ciclo reale è molto meno “pulito” di quello che si insegna nei grafici. Fasi che si sovrappongono, ormoni che oscillano non solo “a blocchi”.
Grande variabilità intra‑ e inter‑individuale, che considera la durata delle fasi, l’ampiezza dei picchi ormonali e insieme di sintomi. Riguardo quest’ultimo punto, i sintomi possono essere diversi dalle fasi ormonali.
Le donne non sono “repliche” l’una dell’altra: alcune hanno sintomi marcati nella fase premestruale, altre durante la mestruazione, mentre altre quasi nulla. I sintomi possono essere influenzati da: stress, sonno, carico, cultura, aspettative.
Quindi, non esiste un profilo sintomi → fasi → regole di allenamento utilizzabile in modo standardizzato.
In definitiva, qual è la proposta fatta dagli autori?
Continuare ad usare la periodizzazione tradizionale: carico, scarico, progressione, specificità, variazione. Non c’è motivo di abbandonare questo approccio per schemi debolmente supportati.
Individualizzare sul vissuto, non sulle fasi presunte.
Ascoltare il vissuto di ogni atleta, monitorare sintomi, performance, percezione dello sforzo lungo vari cicli, adattare carico e contenuto caso per caso se emergono schemi ripetuti.
Quindi un monitoraggio individuale, non “periodizzazione a calendario” basata sui giorni del ciclo.
Le atlete possono trarre beneficio dal monitorare il proprio ciclo mestruale o il ciclo indotto da contraccettivi ormonali, per identificare schemi personali di sintomi (crampi, gonfiore, affaticamento, irritabilità, ecc.); eventuali effetti collaterali dei contraccettivi; cambiamenti anomali del ciclo che potrebbero indicare stress, RED‑S, o disfunzioni.
Questo monitoraggio ha un valore per la salute, comunicazione e autoregolazione, non di programmazione rigida dell’allenamento.
L’atleta può imparare a riconoscere quando e come i sintomi influenzano il proprio allenamento. In fondo, le competizioni non vengono spostate o organizzate in base al ciclo e le atlete devono essere pronte a performare in qualsiasi fase.
Limitare l’allenamento in certe fasi può essere controproducente. Quindi l’obiettivo non è “evitare” certe fasi, ma gestire i sintomi e mantenere la continuità dell’allenamento.

