Un supercentenario è un soggetto che ha raggiunto o superato i 110 anni di vita.
L’estrema durata della vita umana, esemplificata dai supercentenari, rappresenta un paradosso nella comprensione dell’invecchiamento: nonostante l’età avanzata, mantengono una salute relativamente buona.
María Branyas Morera, d’ora in poi denominato M116, è stata la persona vivente più anziana del mondo dal 17 gennaio 2023 fino alla sua scomparsa il 19 agosto 2024, all’età di 117 anni e 168 giorni. Era una donna caucasica nata il 4 marzo 1907 a San Francisco, negli Stati Uniti, da genitori spagnoli e stabilitasi in Spagna dall’età di 8 anni.
In Catalogna, la nazione storica in cui ha vissuto, l’aspettativa di vita per le donne è di 86 anni; quindi, M116 ha superato la media di oltre 30 anni.
Quali sono le potenziali cause biologiche e ambientali che permettono a questi soggetti di arrivare a queste età così estreme?
Nello studio Santos-Pujol et al. (Cell Rep Med. 2025 Oct 21;6(10):102368. doi: 10.1016/j.xcrm.2025.102368), gli autori hanno condotto un’analisi estremamente approfondita e su larga scala utilizzando un approccio multi-omico, sulla persona più anziana del mondo, analizzandone il genoma, il trascrittoma, il metaboloma, il proteoma, il microbioma e l’epigenoma. I ricercatori hanno raccolto campioni di sangue, saliva, urine e feci. Hanno confrontato i dati con coorti di controllo (donne iberiche, popolazioni europee, altri supercentenari).
L’obiettivo era capire come sia possibile vivere così a lungo mantenendo una buona salute, distinguendo i segni molecolari dell’età avanzata (telomeri corti, clonalità ematopoietica) dai tratti protettivi (varianti genetiche rare, metabolismo lipidico efficiente, microbioma giovane, epigenoma stabile).
In particolare, l’approccio multi-omico si riferisce al
- genoma, varianti genetiche rare
- transcriptoma, profili di espressione genica
- metaboloma, analisi dei metaboliti nel sangue
- proteoma, studio delle proteine circolanti ed extracellulari
- microbioma, composizione batterica intestinale
- epigenoma, profili di metilazione del DNA
Per il genoma, lo studio ha identificato varianti genetiche rare che sembrano contribuire a:
- Efficienza immunitaria, varianti che migliorano la regolazione del sistema immunitario, favorendo la difesa contro infezioni e riducendo il rischio di autoimmunità o tumori. Ad esempio, geni coinvolti nella differenziazione dei linfociti T e nella risposta a batteri e virus risultano arricchiti
- Funzione mitocondriale, sono state trovate varianti in geni mitocondriali che mantengono efficiente la fosforilazione ossidativa. I test funzionali hanno mostrato che le cellule della supercentenaria avevano una produzione energetica robusta, persino superiore a quella di donne più giovani
- Conservazione delle capacità cognitive, alcuni geni sono associati alla protezione delle funzioni cognitive e alla neuroplasticità, contribuendo a mantenere la memoria e ridurre il rischio di neurodegenerazione
- Cardio protezione, varianti in geni che sono legate al metabolismo lipidico e alla salute cardiovascolare. Questo si riflette anche nei dati metabolomici: livelli molto bassi di trigliceridi e colesterolo VLDL, accompagnati da HDL elevato
In particolare, sono state identificate 91666 varianti di interesse, di cui 7 in omozigosi mai osservate in altre popolazioni europee, che hanno coinvolto oltre 25000 geni. È stato trovato non un singolo “gene della longevità”, ma un mosaico di varianti rare che insieme hanno contribuito alla salute e alla durata di vita eccezionale di M116. Le analisi del sangue hanno mostrato una doppia faccia dell’invecchiamento:
- da un lato, segni tipici dell’età estrema (clonalità ematopoietica, spesso associata a rischio di tumori del sangue o malattie cardiovascolari, espansione di cellule B, linfociti, senescenti, una popolazione che tende ad accumularsi negli anziani e che può favorire infiammazione e autoimmunità)
- dall’altro, tratti protettivi unici (basso stato infiammatorio e metabolismo lipidico eccezionalmente efficiente) che hanno permesso a M116 di vivere a lungo senza sviluppare malattie cardiovascolari o neurodegenerative
Un risultato sorprendente riguardava la lunghezza dei telomeri.
La supercentenaria aveva telomeri estremamente corti, i più corti tra tutti i volontari sani analizzati. La lunghezza media dei telomeri era di circa 8 kb (kilobase, cioè mille basi nucleotidiche, 1000 coppie di nucleotidi di DNA o RNA), un valore molto basso (il 40% dei suoi telomeri era al di sotto del 20° percentile rispetto al campione di riferimento), indicando una forte erosione telomerica.
Nonostante l’erosione telomerica, M116 non ha sviluppato Alzheimer, Parkinson o diabete, a differenza di quanto ci si aspetterebbe. La forte erosione dei telomeri potrebbe aver limitato la capacità delle cellule maligne di replicarsi indefinitamente. In altre parole, telomeri molto corti avrebbero impedito la proliferazione di eventuali cellule tumorali, spiegando l’assenza di diagnosi oncologiche nella sua vita, suggerendo che per M116 l’erosione telomerica può essere un marcatore del tempo biologico, più che un predittore di malattia.
I biomarcatori infiammatori erano molto bassi. Questo profilo indica un’infiammazione sistemica ridotta, condizione associata a minor rischio cardiovascolare e ad un invecchiamento più sano. Anche il microbioma intestinale, ricco di Bifidobacterium, un genere che normalmente diminuisce con l’età ma che nei centenari e supercentenari rimane alto, contribuiva a mantenere bassi i livelli infiammatori (la composizione dei batteri intestinali era simile a quella di individui molto più giovani). La dieta quotidiana della supercentenaria (3 yogurt al giorno con Streptococcus thermophilus e Lactobacillus delbrueckii) ha favorito probabilmente la crescita di questi batteri benefici. Come già asservato, i dati metabolomici mostravano livelli molto bassi di trigliceridi e colesterolo VLDL, con HDL (“colesterolo buono”) molto elevato.
La distribuzione delle particelle lipoproteiche era ottimale (molte HDL grandi e poche HDL piccole), segno di un metabolismo lipidico efficiente. Questo profilo è associato a protezione cardiovascolare e assenza di demenza, coerente con la salute mantenuta fino a tarda età.
Per l’epigenoma, si sono analizzati oltre 850000 siti CpG (regioni specifiche del DNA caratterizzate dalla sequenza di due nucleotidi consecutivi: citosina (C) seguita da guanina (G), collegati da un legame fosfodiesterico; la metilazione dei CpG è una delle principali modificazioni epigenetiche che regolano l’espressione genica senza alterare la sequenza del DNA). In M116 sono stati trovati 69 siti CpG che, confrontati con un gruppo di controllo (individui di 21–78 anni), hanno mostrato un livello di metilazione significativamente diverso. La maggior parte mostrava ipometilazione (perdita di metili), un fenomeno tipico dell’invecchiamento. Tuttavia, nelle sequenze ripetute (regioni del DNA formate da unità nucleotidiche ripetute in serie che non codificano proteine, ma influenzano la stabilità del genoma, la regolazione epigenetica e l’evoluzione), M116 manteneva ipermetilazione, come nei giovani, proteggendo la stabilità genomica. Gli “orologi epigenetici” basati sulla metilazione dei CpG hanno stimato per lei un’età biologica molto più giovane della cronologica (circa 17–23 anni di differenza).
In generale, il verificarsi di una longevità estrema e l’insorgenza di malattie associate all’invecchiamento riflettono l’equilibrio tra natura e cultura. Un genoma resiliente, come quello di M116, con potenziali varianti benefiche ed esclusione di quelle dannose, offre un vantaggio per una vita sana e una maggiore durata della vita. In particolare, M116 era omozigote per alleli associati a longevità in geni come APOE (coinvolto nel metabolismo lipidico e nella protezione cardiovascolare), oltre ad altri geni legati a:
- Protezione cardiovascolare
- Salute cerebrale e cognitiva
- Funzioni immunitarie
- Fosforilazione ossidativa mitocondriale
Tuttavia, gli autori sottolineano che non è solo la genetica a spiegare la sua vita lunga e sana: anche abitudini e ambiente hanno avuto un ruolo. Ad esempio, in relazione a quest’ultimo aspetto, la ultracentenaria consumava un’elevata quantità di yogurt, un tratto associato ad una riduzione del peso corporeo e dell’incidenza del diabete di tipo 2 e a una diminuzione del grasso corporeo e della resistenza all’insulina. Altri fattori comportamentali, oltre alla dieta, possono influenzare la durata della vita umana, come l’esercizio fisico.
A questo proposito, anche le attività fisiche a bassa intensità, come camminare, esercitano effetti anti-invecchiamento e l’esercizio fisico strutturato può anche migliorare la sopravvivenza nelle malattie legate all’età come il cancro.
In conclusione, la longevità è multifattoriale: genetica, epigenetica, microbioma, dieta e comportamenti quotidiani si intrecciano. L’esercizio fisico, anche se leggero, è un potente modulatore dell’invecchiamento, capace di rallentare processi degenerativi e migliorare la sopravvivenza in condizioni patologiche. Nel caso di M116, oltre alla genetica resiliente e alla dieta, è probabile che anche uno stile di vita attivo (camminare, coltivare il giardino, suonare il piano, socializzare) abbia contribuito alla sua salute e longevità.

